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Il Lupo e Lo Spettro - prologo

 

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Prologo


Un grosso moscone si posa sulla montagna di bancali di legno marcescenti, malamente impilati nel vicolo buio.

L’addome lucido manda riflessi smeraldini nella penombra mentre l’insetto sfrega tra loro le zampe, le passa sopra i grandi occhi scarlatti, liscia le ali.

In un istante riprende il volo, con un ronzio sordo e vibrante che si va ad unire al ronzio di centinaia di altre piccole ali di altrettante grasse mosche, che frullano nell’aria maleodorante del vicolo putrido. Banchettano sui resti miseri di quello che, in un tempo non troppo lontano, è stato un essere umano.

Una donna: Meredith, lavandaia di giorno e prostituta di notte.

È stata un bersaglio fin troppo facile, e ora di lei non rimane molto: solo della poltiglia rossastra e raggrumata a lato di un viottolo infimo e puzzolente, a ridosso di uno dei canali di scolo della Città Bassa, mezza spalmata sul muro sporco.

Qua e là spuntano costole spezzate e altri frammenti d’ossa che ormai è difficile distinguere. Qualche brandello di stoffa, alcune ciocche di capelli… poco altro rimane di lei.

«Che scempio», geme Saggio Lucas.

I suoi occhi chiari, dietro le lenti spesse degli occhiali, sono atterriti e addolorati, mentre scuote piano il capo.

Leevan non dice nulla.

Sotto la maschera dalle fattezze di leone che ne cela i tratti fa una smorfia, disgustato dalla puzza di sangue, muffa e putridume che gli ferisce il naso sensibile. I suoi occhi dorati indugiano sulla scia di sangue ancora fresco che parte dai resti di Meredith e che si perde nella penombra. «Sbrighiamoci e basta. Stavolta non

mi deve scappare».

Le due figure, quella del Primo Sacerdote di Scorpius e quella del ragazzo, guardiano del tempio, s’incamminano lungo il vicolo e si addentrano sempre più nella periferia di Shaula, lasciando che le mosche continuino indisturbate il loro macabro banchetto.

La notte è buia e il cielo nero, coperto da fitte nubi che minacciano pioggia.

L’aria è greve e pesante.

Saggio Lucas alza lo sguardo, atterrito: non è stupito che non si veda nemmeno una stella. Nessuno dei due parla.

Avanzano in silenzio – Leevan davanti a passo svelto, con Saggio Lucas che a fatica gli arranca dietro - lungo piccole vie deserte, strette e serpeggianti e, proprio come le serpi, altrettanto insidiose e infime.

Tra le mura alte e strette delle case spira un vento caldo e maleodorante, appiccicoso e denso di odori grevi.

È simile all’alito umidiccio e bollente, fetido e mortifero, di una creatura malandata, ed è disgustoso: porta con sé il puzzo di rifiuti industriali, di cibo andato a male, muffa e piscio.

Il silenzio è quasi assoluto, ad accezione fatta per il ronzio insistente delle mosche attirate dal sangue e per quello più profondo e penetrante dei macchinari per l’estrazione dell’Animus, perennemente in funzione. Non occorre cercare a lungo.

Dalle ombre dense che nascono da quel groviglio di vicoli, una figura emerge.

Prima ancora che gli occhi possano metterne a fuoco i contorni, le orecchie captano i primi indizi sulla sua natura: ansima, sbuffa, grugnisce e rantola. Non solo: emette anche brevi schiocchi secchi e suoni più acuti e sottili, simili a squittii.

Quando quella figura si fa avanti, allungandosi con passo strascicato nel cono di luce rossastra e incerta di uno dei radi lampioni, gli occhi confermano quello che le orecchie già avevano intuito: quell’essere ha ben poco di umano.

Ha occhi troppo grandi e sporgenti, neri come la pece, così gonfi che sembrano sul punto di esplodere da un istante all’altro. Il naso è quasi inesistente, ridotto a due piccole fessure frementi proprio sopra la bocca priva di labbra, simile a uno squarcio orizzontale sul viso deforme. Il collo è troppo lungo e sottile, arcuato sotto lo sforzo di tenere dritta quella testa ingombrante e mostruosa.

L’essere si muove a quattro zampe, quasi strusciando il ventre a terra nel vicolo sudicio, le articolazioni ruotate verso l’esterno tipiche dei grandi rettili. La corta coda tozza si dimena ad ogni passo.

Quella creatura che un tempo era stata un essere umano – una donna, a giudicare dalla chioma di capelli scomposti e neri che si riversa sulla nuca e dai brandelli di vestiti che ancora le sono rimasti addosso – emette un rantolo rumoroso e lentamente, muovendo a fatica quel corpo mostruoso e raccapricciante, inizia ad avanzare verso le due figure che sono sulle sue tracce.

Saggio Lucas indietreggia e sussurra qualcosa in un gemito concitato – difficile dire se il principio di qualche preghiera o un’esclamazione di sofferenza per quella vista – nello stesso momento in cui Leevan si fa avanti.

«Trovato» ringhia a bassa voce.

Sotto la maschera, una smorfia simile a un sorriso cupo gli arriccia le labbra.

È scuro in viso, gli occhi dorati sembrano quasi neri all’ombra delle sopracciglia ferocemente aggrottate, e ogni muscolo del suo corpo è teso e contratto. È così concentrato che il suo respiro si è fatto lieve e impercettibile per paura di fare rumore. Il collo è proteso in avanti e lo sguardo fisso sulla creatura, come quello di un cane da punta che abbia appena scovato una lepre ignara nella sua tana.

Con un movimento lento e misurato la mano scivola al fianco. Il cuoio dei guanti scricchiola piano quando le dita si chiudono sull’elsa della spada e, con un sibilo appena udibile, la estrae dal fodero. La creatura non sembra badare a quel gesto.

Continua ad avvicinarsi al ragazzo con la sua andatura, lenta e pesante.

Di tanto in tanto la lunga lingua biforcuta serpeggia tra le labbra nere, e rivoli di bava vischiosa e rossastra scivolano in bolle rosate lungo il mento.

Quando non rimangono che un paio di metri a separarli, i movimenti della creatura cambiano all’improvviso.

Gli occhi si fanno ancora più sporgenti per l’eccitazione e la lingua ha un guizzo fulmineo nel ritrarsi all’interno della bocca, schizzando saliva su tutto il volto deforme e sul selciato. Le vene sul collo si gonfiano e pulsano per lo sforzo, mentre la testa si drizza all’improvviso. Se fino ad un attimo prima si trascinava a pochi centimetri da terra, tra i liquami e la polvere, ora si solleva al punto da poter quasi guardare Leevan dritto in faccia.

Esita un istante.

Poi senza preavviso, in un battito di ciglia, il collo si flette come una molla, e quella testa mostruosa scatta in avanti. La bocca è spalancata, irta di centinaia di denti piccoli ma affilatissimi e ricurvi.

Leevan è altrettanto rapido.

Solleva la spada, usando il piatto della lama per respingere l’attacco.

La creatura manda all’improvviso un urlo terribile e feroce, mentre i denti grattano sul metallo con un sibilo da far accapponare la pelle, ma senza riuscire a fare presa.

Il collo arretra e si flette, e la testa maledetta scatta in avanti una seconda volta.

Non è difficile per Leevan prevedere anche questo attacco.

Scarta a sinistra. La testa del mostro gli sibila accanto, mancandolo per pochissimo e strappandogli la maglia – soltanto un attimo di ritardo e a finire squarciato dai denti letali sarebbe stato il suo braccio. Impugna la spada con entrambe le mani e la solleva contro il cielo nero di quella notte senza stelle.

La lama fende l’aria e cala in diagonale.

Basta un istante: la spada mozza di netto il collo di quell’essere senza nemmeno lasciargli il tempo di squittire, guaire o emettere qualsiasi altro suono.

La testa cade a terra con un rumore viscido, rimbalza e rotola sul selciato in una pioggia di schizzi scuri. Si agita per qualche istante sotto lo sguardo disgustato di Leevan, strabuzzando gli occhi enormi e serrando a scatti la mascella, arrivando a mordere la sua stessa lingua fino a mozzarla di netto.

Anche il resto del corpo, accasciatosi a terra, si dimena in preda a spasmi violenti.

Finalmente, dopo una manciata di secondi che paiono interminabili, ogni movimento cessa.

«È morto» annuncia Leevan, mentre i suoi occhi chiari scrutano con sospetto i resti della creatura. «Che schifo…» aggiunge a mezza voce, osservando il sangue nero gocciolare in un rivolo lento lungo lo sguscio della spada.

«È sempre peggio…» geme Saggio Lucas in un sussurro, avvicinandosi con cautela.

Anche i suoi occhi cerulei, velati da un principio di cataratta e densi di sconforto, indugiano sul corpo esanime e deforme.

«No, è sempre uguale. Sei tu che diventi più vecchio, per questo ti sembra sempre peggio» commenta il ragazzo, brusco.

Accetta la pezzuola che il sacerdote gli tende e, con un gesto meticoloso e attento, pulisce la lama. Saggio Lucas lo osserva in silenzio, mesto.

Dopo aver tolto anche l’ultima traccia del sangue maledetto dal metallo scintillante, screziato del rosso dell’Animus, Leevan rinfodera l’arma con un sospiro.

«Di’ le tue paroline magiche e torniamocene a casa». Saggio Lucas sospira a sua volta, stanco e atterrito.

Sono giorni sventurati, a Shaula. Quella è la sesta notte di fila che accade una sciagura simile.

Leevan ha ragione: è troppo anziano per simili compiti, il suo vecchio cuore regge ormai a fatica la vista di simili scempi.

Quelle povere donne… ne sono morte ben dieci, dieci in sei giorni, prima che riuscissero a trovare l’Oni responsabile di quella carneficina. Nemmeno averlo purificato e sapere che nessun’anima verrà più minacciata dalla sua immonda presenza alleggerisce lo spirito all’anziano Saggio.

Gli Oni sono sempre più numerosi e sempre più feroci: è soltanto questione di tempo prima che un nuovo mostro si faccia avanti, pronto a mandare in frantumi la parvenza di quiete che loro, sia l’Ordine di Scorpius che il corpo di polizia di Shaula, stanno tanto duramente cercando di ripristinare.

Quante altre stelle dovranno spegnersi ancora? si domanda stancamente, mentre le sue dita si stringono attorno al medaglione sacro che porta al collo, simbolo della sua fede.

Teme che non ci sia una risposta.

«Oh stella corrotta, liberati del tuo cordoglio e splendi, poiché sarò io a vegliare il tuo riposo nell’immenso di questo cielo quieto» recita piano, con voce vibrante di dolore.

«Bene. Andiamocene. Sono a pezzi» sbuffa Leevan, interrompendo il silenzio in cui Saggio Lucas si era raccolto a pregare per quell’anima corrotta.

L’anziano sospira ancora e annuisce. «Devo informare il Capo Fox che abbiamo portato a termine il nostro compito. E che è necessario mandare qualcuno che ripulisca questo scempio, così da poter benedire e dare una degna sepoltura a questi poveri resti…».

Leevan non risponde.

Si trovano nel cuore della Città Bassa, in una delle zone più povere e più pericolose di Shaula, ed è certo che darsi pena a ripulire quel disastro sia inutile: le strade, qui, hanno occhi e orecchie. Probabilmente tutti gli abitanti nel giro di almeno mezzo chilometro sanno già quello che è appena successo e, altrettanto probabilmente, nessuno di loro sarà così stupido da andare a raccontarlo in giro.

Leevan si sistema meglio la maschera sul viso.

Annuisce e, anche se lui non la può vedere, lancia al sacerdote un’occhiata spazientita. «Come ti pare. Abbiamo finito qui, no?»

«Abbiamo finito» conferma Saggio Lucas, posando un’ultima volta lo sguardo addolorato su quei resti corrotti.

Sarebbero uno spettacolo terribile e devastante per qualunque essere umano, ma per uno come Saggio Lucas, che ha consacrato la propria vita alla protezione dell’umanità dalla corruzione del Re Nero, l’effetto è mille volte peggiore.

Non riesce a distoglierne lo sguardo.

Leevan, che come spesso accade sembra impermeabile a tutte quelle atrocità e al dolore del sacerdote, annuisce di nuovo, e la sua espressione si rilassa.

«Bene. Torniamocene a casa, sto morendo di sonno» insiste, infilandosi le mani in tasca. Senza attendere risposta si volta e torna sui propri passi, facendo attenzione a non calpestare la macabra scia di sangue che è stata la loro pista per arrivare a quel mostro.

L’anziano sacerdote, dopo aver rivolto un ultimo compassionevole sguardo a quei resti un tempo umani, si affretta a seguire il ragazzo.

Insieme percorrono a ritroso il groviglio di vie maleodoranti e infime, diretti verso la Città Alta.

Non c’è anima viva in giro per le strade di Shaula, ad eccezione di ratti e mosche: decisamente insolito.

Leevan non ne è stupito.

Se è vero che le strade abbiano occhi e orecchie, è altrettanto vero che abbiano anche un validissimo istinto di sopravvivenza: non è difficile indovinare come, quella nutrita fetta di popolazione dei bassifondi che solitamente lavora o bighellona per le strade a quell’ora di notte, abbia fiutato il pericolo e pensato bene di ritirarsi nella propria sudicia tana dove, probabilmente, si sta stordendo con alcolici di contrabbando e Animus di pessima qualità.

Un dignitosissimo modo di passare il tempo, se si considera come alternativa la morte.

Leevan, dal canto suo, non desidera altro che dormire.

L’indomani lo aspetta la solita svegli all’alba e, nell’ultima settimana, ha già perso un numero considerevole di ore di sonno per dare la caccia a quel maledetto bastardo di un Oni.

Spesso gli basta una notte sola per scovarli ed eliminarli, e a volte capita che ce ne vogliano due, tre nei peggiori dei casi… ma è molto raro che gli occorra così tanto tempo. Quel mostro gli ha dato del filo da torcere.

È stata con autentica soddisfazione che gli ha mozzato la testa, ben conscio che quel semplice fendente avrebbe significato la fine dei problemi a Shaula – almeno per un po’ – e, per lui, un’intera notte di sonno filato all’indomani. Un lusso più unico che raro, ormai.

Il sacerdote e il guardiano del tempio camminano fianco a fianco in silenzio, fino a che le piccole stradine labirintiche e buie della Città Bassa non iniziano ad aprirsi in vie sempre più ampie, man a mano che ci si avvicina alla Città Alta.

I lampioni iniziano a diventare più frequenti e regolari, rendendo il paesaggio meno insidioso con la propria luce rossa e fredda, prodotta dalla combustione dell’Animus.

«Ti ringrazio. Andrò a fare rapporto al Capo Fox, e mi assicurerò che lo scempio che ci siamo lasciati alle spalle venga ripulito prima che sorga il sole. Buonanotte», dice Saggio Lucas. I suoi occhi chiari e stanchi esitano un istante in quelli ambrati eppure ombrosi di Leevan, quasi del tutto nascosti dalle fessure oblique della maschera che indossa.

«Stai scherzando? È tardi, e io non ho alcuna intenzione di accompagnarti in centrale. Sono stanco. Fox aspetterà fino a domani».

«Non serve che mi scorti, sono solo poche centinaia di metri. Buonanotte» insiste Saggio Lucas e, senza attendere una risposta, si avvia lungo la strada principale.

Leevan, dubbioso, osserva l’anziano sacerdote allontanarsi, piccola figura scura illuminata dalla luce rossa dei lampioni.

Zoppica lentamente vero la centrale di polizia dove, Leevan non ne ha dubbi, passerà ciò che resta della notte a redigere un rapporto sin troppo dettagliato a quel bastardo di Fox. Che, con tutta probabilità, non si prenderà nemmeno il disturbo di leggerlo.

Oggi l’artrite sembra peggiore del solito pensa, osservando con la mascella contratta come il sacerdote quasi non pieghi la gamba destra ma, piuttosto, se la trascini dietro come un pezzo di legno marcio e mangiato dalle termiti.

Il ragazzo lo guarda allontanarsi per qualche altro metro ancora poi, turbato dalla sensazione di disagio e malessere che quella visione gli provoca, gli volta e spalle e si incammina nella direzione opposta, con la testa china e le mani affondate nelle tasche.

I suoi passi e il lieve tintinnio ritmico della spada contro il fianco si perdono rapidamente nel silenzio della notte.


 

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